Ponti al vento

Mario Paolo Petrangeli • 19 maggio 2021

I risultati di prove di stabilità aerodinamica condotte a supporto della progettazione di quattro ponti, due passerelle pedonali e due ponti strallati (strade&autostrade, luglio 2020)

Il problema della stabilità aerodinamica dei ponti si pose inizialmente solo per quelli sospesi, a seguito del crollo del ponte di Tacoma Narrows (Washington, USA) nel 1940 per effetto di un vento di appena 67 km/ora.

Attualmente, il problema delle vibrazioni indotte dal vento riguarda altre due famiglie di ponti: le passerelle pedonali e i ponti strallati.

Le prime, grazie al sensibile incremento delle prestazioni dei materiali e ai nuovi potenti strumenti di calcolo, sono divenute sempre più snelle in rapporto alla luce; i secondi vengono impiegati ora per luci un tempo dominio assoluto dei ponti sospesi, avendo superato la soglia di 1.000 m (per esempio il Russky a Vladivostok, che ha luce di 1.104 m, e altri).

Ciò ha portato, anche in Italia, alla creazione di varie gallerie del vento dedicate ai problemi dell’ingegneria civile, mentre in precedenza erano utilizzate solo in campo meccanico per studiare l’aerodinamica degli aerei e delle vetture sportive.

Nel seguito si illustrano brevemente i risultati di prove condotte a supporto della progettazione di quattro ponti, due passerelle pedonali e due ponti strallati  (https://www.stradeeautostrade.it/ponti-e-viadotti/ponti-al-vento/)
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Autore: MARIO PAOLO PETRANGELI 4 maggio 2021
________________________________________ AUTORI: Mario Paolo Petrangeli (1) - Luigi Fieno (2 Mario Petrangeli & Associati Srl – Roma; (1) Presidente; (2) Amministratore Delegato e Direttore Tecnico; Premessa La precompressione esterna, proposta fin dal 1934 da Dischinger, sta conoscendo in questi anni una crescente diffusione sulla spinta degli studi e delle applicazioni svolte in particolare negli Stati Uniti, in Belgio ed in Francia. Il suo impiego riguarda sia la costruzione di nuovi ponti, ed in special modo quelli costruiti con conci prefabbricati, che il rafforzamento di quelli esistenti. In questo secondo caso la precompressione esterna può risultare utile per diverse ragioni come adeguare un ponte a nuovi e più pesanti carichi, consentire l’allargamento dell’impalcato, rimediare ad errori di progettazione o ripristinare il livello di precompressione iniziale ridottosi per cause naturali o accidentali. Un notevole vantaggio della precompressione esterna è che essa, prevedendo l’impiego di cavi disposti al di fuori della sezione resistente di calcestruzzo, richiede interventi limitati sulla struttura in esercizio talché spesso è possibile non chiudere totalmente il ponte al traffico. Nel seguito verrà trattato solo il caso di cavi in acciaio armonico anche se lo sviluppo di nuovi materiali non metallici, quali i polimeri rinforzati con fibre, fanno prevedere nuove interessanti applicazioni.
Autore: Mario Paolo Petrangeli - Luigi Fieno , Riccardo Orlandi 15 novembre 2019
Premessa In Italia vi sono più di 4.000 km di viadotti stradali, la maggioranza dei quali sono in esercizio da più di 30 anni, cioè da quando si progettava ignorando il requisito di “durabilità” che ora consideriamo essenziale quanto quello della “resistenza”. Stime attendibili (P. Mannella “Monitoraggio e Valutazione di Ponti e Viadotti” ENEA-Roma 14/2/2019) indicano che circa il 40 % di queste opere hanno impalcati in cemento armato precompresso con cavi post- tesi. Se si considera che all’epoca della loro costruzione la tecnica del precompresso era relativamente “giovane”, essendosi affermata dopo gli anni 50 del secolo scorso, ne consegue che le tecnologie ed i materiali utilizzati non potevano contare su una esperienza consolidata. Ciò ha riguardato in particolare le iniezioni dei cavi da effettuarsi dopo la loro messa in tensione: la cattiva esecuzione di questa operazione, cruciale per evitare la corrosione dei fili di acciaio armonico, ha creato grossi problemi in tutta Europa, al punto che in Inghilterra per un certo numero di anni la costruzione di questi ponti fu proibita. Anche in Italia si sono avuti seri problemi, che in alcuni casi hanno portato al crollo di alcune travate. Ciò impone un accurato controllo di questo tipo di impalcati, a valle del quale spesso si pone una scelta molto impegnativa sia dal punto di vista economico che ambientale: riparare o demolire. In alcuni casi questa decisione è agevolata da valutazioni più generali: è il caso di quei viadotti in cui la sostituzione di un impalcato in c.a.p. con altro più leggero in acciaio consente di adeguare sismicamente l’opera evitando costosi interventi sulle pile o sulle fondazioni. Nella maggioranza dei casi, però, la scelta non è così scontata, ma è necessario svolgere una analisi accurata costi/benefici, partendo dai vincoli imposti dalle Norme attuali. Nel seguito di questo si faranno alcune considerazioni in merito.
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