L’impiego della precompressione esterna nella riparazione e nell’adeguamento statico dei ponti (Ingenio 2021)

MARIO PAOLO PETRANGELI • mag 04, 2021
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AUTORI:
Mario Paolo Petrangeli (1) - Luigi Fieno (2
Mario Petrangeli & Associati Srl – Roma; (1) Presidente; (2) Amministratore Delegato e Direttore Tecnico;

Premessa
La precompressione esterna, proposta fin dal 1934 da Dischinger, sta conoscendo in questi anni una crescente diffusione sulla spinta degli studi e delle applicazioni svolte in particolare negli Stati Uniti, in Belgio ed in Francia. Il suo impiego riguarda sia la costruzione di nuovi ponti, ed in special modo quelli costruiti con conci prefabbricati, che il rafforzamento di quelli esistenti.
In questo secondo caso la precompressione esterna può risultare utile per diverse ragioni come adeguare un ponte a nuovi e più pesanti carichi, consentire l’allargamento dell’impalcato, rimediare ad errori di progettazione o ripristinare il livello di precompressione iniziale ridottosi per cause naturali o accidentali.
Un notevole vantaggio della precompressione esterna è che essa, prevedendo l’impiego di cavi disposti al di fuori della sezione resistente di calcestruzzo, richiede interventi limitati sulla struttura in esercizio talché spesso è possibile non chiudere totalmente il ponte al traffico.
Nel seguito verrà trattato solo il caso di cavi in acciaio armonico anche se lo sviluppo di nuovi materiali non metallici, quali i polimeri rinforzati con fibre, fanno prevedere nuove interessanti applicazioni.


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Autore: MARIO PAOLO PETRANGELI 04 mag, 2021
________________________________________ AUTORI: Mario Paolo Petrangeli (1) - Luigi Fieno (2 Mario Petrangeli & Associati Srl – Roma; (1) Presidente; (2) Amministratore Delegato e Direttore Tecnico; Premessa La precompressione esterna, proposta fin dal 1934 da Dischinger, sta conoscendo in questi anni una crescente diffusione sulla spinta degli studi e delle applicazioni svolte in particolare negli Stati Uniti, in Belgio ed in Francia. Il suo impiego riguarda sia la costruzione di nuovi ponti, ed in special modo quelli costruiti con conci prefabbricati, che il rafforzamento di quelli esistenti. In questo secondo caso la precompressione esterna può risultare utile per diverse ragioni come adeguare un ponte a nuovi e più pesanti carichi, consentire l’allargamento dell’impalcato, rimediare ad errori di progettazione o ripristinare il livello di precompressione iniziale ridottosi per cause naturali o accidentali. Un notevole vantaggio della precompressione esterna è che essa, prevedendo l’impiego di cavi disposti al di fuori della sezione resistente di calcestruzzo, richiede interventi limitati sulla struttura in esercizio talché spesso è possibile non chiudere totalmente il ponte al traffico. Nel seguito verrà trattato solo il caso di cavi in acciaio armonico anche se lo sviluppo di nuovi materiali non metallici, quali i polimeri rinforzati con fibre, fanno prevedere nuove interessanti applicazioni.
Autore: Mario Paolo Petrangeli - Luigi Fieno , Riccardo Orlandi 15 nov, 2019
Premessa In Italia vi sono più di 4.000 km di viadotti stradali, la maggioranza dei quali sono in esercizio da più di 30 anni, cioè da quando si progettava ignorando il requisito di “durabilità” che ora consideriamo essenziale quanto quello della “resistenza”. Stime attendibili (P. Mannella “Monitoraggio e Valutazione di Ponti e Viadotti” ENEA-Roma 14/2/2019) indicano che circa il 40 % di queste opere hanno impalcati in cemento armato precompresso con cavi post- tesi. Se si considera che all’epoca della loro costruzione la tecnica del precompresso era relativamente “giovane”, essendosi affermata dopo gli anni 50 del secolo scorso, ne consegue che le tecnologie ed i materiali utilizzati non potevano contare su una esperienza consolidata. Ciò ha riguardato in particolare le iniezioni dei cavi da effettuarsi dopo la loro messa in tensione: la cattiva esecuzione di questa operazione, cruciale per evitare la corrosione dei fili di acciaio armonico, ha creato grossi problemi in tutta Europa, al punto che in Inghilterra per un certo numero di anni la costruzione di questi ponti fu proibita. Anche in Italia si sono avuti seri problemi, che in alcuni casi hanno portato al crollo di alcune travate. Ciò impone un accurato controllo di questo tipo di impalcati, a valle del quale spesso si pone una scelta molto impegnativa sia dal punto di vista economico che ambientale: riparare o demolire. In alcuni casi questa decisione è agevolata da valutazioni più generali: è il caso di quei viadotti in cui la sostituzione di un impalcato in c.a.p. con altro più leggero in acciaio consente di adeguare sismicamente l’opera evitando costosi interventi sulle pile o sulle fondazioni. Nella maggioranza dei casi, però, la scelta non è così scontata, ma è necessario svolgere una analisi accurata costi/benefici, partendo dai vincoli imposti dalle Norme attuali. Nel seguito di questo si faranno alcune considerazioni in merito.
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